Il problem setting prima di tutto | Intervista ad Andrea Bellucci

 

Quanto conta saper analizzare con attenzione le criticità di un progetto, di un prodotto o di un processo? Tantissimo, perché determina anche la qualità e l’efficacia delle soluzioni. Ecco perché in Fortech dedichiamo tempo e risorse al problem setting. Ne abbiamo parlato con Andrea Bellucci, colui che ha fatto di questo tema una vera… ossessione.

 

Ciao Andrea, vuoi raccontarci qualcosa di te per presentarti ai nostri lettori?

Mi chiamo Andrea Bellucci, vivo a Rimini e Fortech per me è ormai sinonimo di casa. Non solo perché ci lavoro da tempo ma anche perché abito vicino al nostro headquarter quindi in pochissimo tempo arrivo in sede.

Sono laureato in Statistica informatica e sistemi informativi aziendali e in Fortech sono Responsabile degli impianti ad alta automazione, ovvero degli impianti cosiddetti Ghost.

Il mio compito è quello di verificare che questi impianti siano sempre correttamente funzionanti ed efficienti. In particolare, il mio lavoro consiste nel gestire il problem setting degli impianti: analizzo gli eventuali problemi riscontrati negli impianti e li risolvo per evitare che si ripetano in futuro.

 

Come si struttura esattamente la tua attività di problem setting e problem solving?

Sono direttamente coinvolto in due fasi importanti del ciclo vitale di un impianto ghost: in quella di avvio di un nuovo impianto ad alta automazione e in quelle successive di monitoring, di analisi e risoluzione delle criticità dell’impianto. Soprattutto la fase di avvio di un nuovo impianto è estremamente delicata: bisogna capire quali sono le reali esigenze della gestione e avviare l’impianto in base ad esse. 

Nel momento dell’avvio, infatti, ogni impianto ghost deve rispettare tutto ciò che gli consente di essere autosufficiente, sia dal punto di vista delle modalità di pagamento che dal punto di vista della gestione e del coordinamento del portavalori, elemento fondamentale e distintivo degli impianti Fortech. Il mio compito, infatti, include anche l’evitare che ci siano frodi, eventuali furti o problemi riguardanti la coerenza del contante custodito nel portavalori.

 

La sfida più grande del tuo lavoro qual è?

Per me è quella di riuscire a garantire la massima efficienza possibile degli impianti ghost: ci sono numerosi problemi latenti, come ad esempio le problematiche dovute alle nuove implementazioni, oppure relative al montaggio del macchiatore, che vanno analizzate con attenzione per essere risolte. Essendo una persona molto precisa, credo che questo lavoro sia perfetto per me, perché richiede molta diligenza e cura, per garantire sempre la completa e tempestiva operatività dell’impianto. Trovo molto stimolante, inoltre, scoprire quali sono le “variabili latenti”, come si dice in statistica, cioè le problematiche nascoste degli impianti, che vanno ricercate e studiate bene per trovare le soluzioni giuste. 

 

Quindi il tuo è un lavoro che si svolge per buona parte nell’ombra, perché i tuoi interventi vengono fatti da remoto…

Sì, sempre. La parte più bella è quando il gestore, che ha riscontrato un problema con l’impianto, scopre che questo si è “magicamente” risolto. Spesso, infatti i clienti non hanno consapevolezza del nostro intervento: esattamente come dei fantasmi, noi operiamo e risolviamo il problema da remoto, senza che il gestore “veda” l’intervento. L’obiettivo infatti non è solo quello di “curare”, ma è quello di prevenire eventuali criticità e sollevare retista e gestori da preoccupazioni e problemi.

 

Precisione, attenzione e analisi sono quindi le parole chiave per il tuo lavoro.

Sì, in effetti, la mia precisione rasenta quasi il maniacale. Io ho circa una quarantina di soprannomi, tra cui mi diverte citare, appunto “maniaco”, perché ho questa predisposizione a voler capire e analizzare in modo accurato, quasi ossessivo, le ragioni recondite delle cose. Da piccolo mi chiamavano anche “MacGyver” perché ero – e tuttora sono – quello con la soluzione sempre in tasca, sono il personaggio bizzarro con il gadget più tech o più strano. I miei colleghi sono ormai abituati a vedermi con due elementi distintivi: il moschettone e la cartellina per prendere appunti. 

 

Andrea hai anche passioni extra lavorative?

Mi piace esplorare e conoscere, per questo le mie passioni sono di due tipi. Da un lato mi interessano la robotica, l’Intelligenza Artificiale e le reti neurali, dall’altro ho anche un lato più atletico e più “storico”: ho fatto arti marziali e per circa quattro anni scherma medievale. Da persona precisa e attenta alla genesi delle cose, amo tutto quello che ha un protocollo e credo che tutto possa essere analizzato e decodificato, che abbia delle correlazioni intrinseche come il ballo.

 

Come immagini Fortech tra qualche anno?

Vedo il futuro di Fortech sempre più automatizzato e tecnologico e mi piacerebbe che il nostro settore aspirasse all’innovazione, che procedesse verso una maggiore informatizzazione. Ovviamente, non credo affatto che il contatto umano debba sparire, ma mi immagino un’attività molto più immediata, fluida e smart. Ritengo infatti che, in questo modo, il lavoro del gestore sarebbe sempre essenziale, ma molto più semplice. Affidandosi a strumenti automatizzati ancora più avanzati e tecnologici, le problematiche dovute alla relazione con il cliente non soddisfatto verrebbero meno quindi il gestore potrebbe dedicarsi con più serenità alle sue attività di gestione o concentrarsi su altri tipi di servizi, pur restando la figura di riferimento per l’impianto. Immagino quindi che una maggiore automazione permetterebbe di agevolare il compito del gestore e semplificarne le attività quotidiane.

 

E tu? Come vedi te stesso nel prossimo futuro?

Per me il lavoro in Fortech è stimolante e divertente: più cose ci sono da scoprire e più io mi diverto. Quindi credo che finchè ci saranno da esplorare problemi e soluzioni, per me il divertimento sarà assicurato!

 

Hai una citazione o un mantra che ti rispecchia ed è un riferimento importante per te?

Sì, ho una mia massima: “è imperfetto essere perfetto”. Con questa frase ricordo a me stesso e agli altri che gli errori servono per crescere. La perfezione, infatti, si ottiene capendo dove sono i problemi e sistemandoli. La perfezione è immutabilità e in un contesto in perenne movimento è impossibile da mantenere.

 

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